1. Capitolo 2: Inaspettatamente

    AvatarBy Fiamma Drakon il 25 July 2012
     
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    Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale
    Personaggi: Adrien Benôit, Agathe De Montrès, André Benôit, Françoise Duprèe, Jean Seçarieu, Mathieu De Montrès
    Pairings: Françoise/Mathieu (one-sided), Jean/Mathieu
    Prompt: 09. Sensazione di perdita @ 500themes_ita
    Disclaimer: Tutta roba mia e della mia testolina, pertanto qualsiasi somiglianza con persone realmente esistenti (se presente ma non credo proprio) è completamente casuale e non voluta.
    Wordcount: 2403 (FiumiDiParole)


    «Speriamo che il signorino apprezzi...».
    Jean Seçarieu, il collaboratore e servitore personale del giovane erede maschio della ricca e nobile famiglia dei De Montrès, osservava compiaciuto il servizio da thé che stava trasportando sul vassoio d’argento tirato a lucido che portava tra le mani. Vicino alla teiera e alla tazzina - fatte di un particolare tipo di porcellana dipinta a mano con fiori dai petali porpora - c’era un piattino con una fetta di millefoglie con crema e riccioli di cioccolato a decorare il margine.
    Jean si era prodigato tanto per preparargli quel dolce e sperava che il signorino riuscisse ad apprezzare i suoi sforzi. Se non con un bacio - che sarebbe stato il ringraziamento migliore nel quale avrebbe mai potuto sperare - almeno con un sentito ringraziamento: di solito si irritava quando veniva interrotto durante le lezioni di musica con il suo precettore privato, monsieur Françoise Duprèe.
    Jean sapeva bene che cosa piaceva al signorino e cosa no. Il thè ed il dolce erano decisamente nell'ambito del sì, anche se il fatto che gli venissero serviti mentre stava facendo lezione di pianoforte non era proprio il massimo; tuttavia, il piacere di vederlo bere il suo thè in pace e con un filo di rossore sulle guance per l'imbarazzo era qualcosa di assolutamente impagabile per lui e valeva la pena di rischiare di essere rimproverato.
    «Sarà bellissimo...!» esultò tra sé e sé Jean, una volta arrivato davanti alla porta dell'aula della musica. Non gl'importava niente se era presente anche monsieur Duprèe: non avrebbe visto assolutamente niente perché, semplicemente, non sarebbe successo niente. Non avrebbe baciato Mathieu. Si sarebbe limitato semplicemente ad osservarlo. L'aveva fatto un milione di volte, anche in presenza dei padroni e di ospiti illustri e nessuno li avevano mai scoperti.
    Era discretamente sicuro delle sue abilità nel mascherare le proprie emozioni.
    Spostò il vassoio sulla mano sinistra mentre con la destra abbassava la maniglia.
    «Sign... oh».
    La frase s'interruppe a mezzo quando il Seçarieu aprì la porta. I suoi occhi azzurri si dilatarono a tal punto da sembrare più grandi, quasi fuori misura: innanzi a lui si stava consumando quello che pareva essere a tutti gli effetti un ardente bacio tra Mathieu - piegato leggermente all'indietro con il busto, succube - e nientemeno che Françoise Duprèe - chino sopra di lui.
    Jean rimase allibito completamente dalla cosa, nonché profondamente segnato: non riusciva a credere ai suoi occhi. Non riusciva a concepire che Mathieu De Montrès lo stesse tradendo in modo così plateale. E pensare che avevano fatto l'amore così tante volte e che gli aveva ripetuto moltissime volte di amarlo. Era tutto per lui, ma a quanto pareva adesso il suo ruolo era stato occupato dal docente di musica.
    Dopo qualche istante i due si separarono e solo allora si accorsero della presenza di quell'inatteso spettatore.
    Mathieu sobbalzò all'istante, sgranando gli occhi ed assumendo un colorito molto prossimo al porpora.
    «Jean...!» esclamò, non riuscendo a dire altro.
    Quest'ultimo lo fissò con ira, le nocche sbiancate per l'intensità con cui stava stringendo le maniglie del vassoio.
    Duprèe fu il primo a rompere il fastidioso silenzio che si era creato. Al contrario di Mathieu, sembrava perfettamente a proprio agio nonostante quanto appena accaduto.
    «Sì...?» domandò, sfoggiando la sua più palese faccia da schiaffi.
    Il servitore, frustrato, attese per un momento che Mathieu iniziasse a spiegare il perché di quel bacio, ma dal ragazzo non venne neanche un minimo accenno a parlare e ciò non fece altro che aumentare il risentimento e la rabbia di Jean.
    Quest'ultimo si avvicinò ad un mobiletto nelle immediate vicinanze della porta e vi posò sopra il vassoio con un gesto un po' brusco.
    «Ero venuto solamente a servirvi la merenda, thè e pasticcini. Me ne vado subito» disse, la voce colma di astio.
    Mathieu fece per aprir bocca ma l'altro uscì dalla stanza prima che avesse il tempo di dirgli qualsivoglia cosa.
    «J-Jean...» sussurrò il nobile, osservando sconsolato la porta nuovamente chiusa.
    Duprèe fece per avvicinarglisi di nuovo, ma stavolta il De Montrès lo respinse, ed anche in modo piuttosto violento.
    «Se ne vada per favore» disse in tono duro e deciso. Dalla sua espressione sembrava stesse soffrendo tantissimo.
    Duprèe avrebbe voluto rimanere e consolarlo: non capiva proprio come potesse preferire un membro della servitù a lui, che era un precettore di musica in grado di garantirgli - se avessero avuto l'occasione di vivere insieme - uno stato di vita più o meno identico a quello attuale. Un semplice servo, oltre l'amore puramente sentimentale e carnale, che cosa poteva dargli in più rispetto a lui?
    Tuttavia, non voleva farlo arrabbiare.
    «Come desidera signorino, ma ricordatevi di quel che vi ho detto» disse in forma di congedo «Buona giornata».
    Così dicendo se ne andò, lasciando finalmente il nobile da solo con i suoi problemi.
    Mathieu camminò fino al pianoforte a passo lentissimo, guardando esasperato l'alto soffitto dipinto.
    Si lasciò cadere sul panchetto e si passò le mani sul viso in atto di disperazione.
    «Perché sono così imbranato...?» esclamò a mezza voce, sbuffando.
    Si sentiva un vero e proprio idiota: Jean l'aveva colto in flagrante mentre il suo insegnante privato di musica ci provava con lui. Era stato uno stupido a non allontanarlo subito, quando ne aveva avuta l'occasione e adesso ne pagava le conseguenze. Jean era infuriato con lui e non aveva torto.
    «Ora non mi parlerà più...!» sospirò depresso.
    L'attimo dopo era in piedi, ogni segno di depressione svanito, sostituito solo da una tenera determinazione. Avanzò verso la soglia a passo rapido e, una volta che l'ebbe varcata, si diresse verso le cucine, dove era assolutamente certo di trovarlo.
    Si astenne dall'iniziare a correre per evitare di destare inutili sospetti in eventuali servitori che avrebbe potuto incrociare lungo la strada. Gli mancava solamente che qualcuno potesse andare ad informare i suoi genitori. Con loro sarebbe stato estremamente difficile tenere nascosto ciò che era successo e soprattutto il motivo: se volevano riuscivano ad essere estremamente persuasivi, soprattutto sua madre.
    Mathieu scese quanto più rapidamente la prudenza gli permetteva i due piani che lo separavano dalla cucina. Si era aspettato di incrociare Jean in quel tratto di strada, invece non ne trovò traccia. Dopo la scena cui aveva assistito - adesso che la ricordava il nobile avvertiva le nocche prudere dal desiderio di picchiare monsieur Duprèe - evidentemente si era dileguato in gran fretta, ritirandosi dove potesse leccarsi in pace le ferite.
    Se non l'avesse trovato nelle cucine l'avrebbe senz'altro trovato nella camera a lui assegnata, ne era certo. Prima, però, si sarebbe accertato che non fosse in cucina: gironzolare nella parte della magione assegnata alla servitù non era un grande idea.
    Il De Montres giunse finalmente nell'atrio della villa, nel quale temporeggiò qualche secondo per controllare che non ci fosse nessuno in giro: i suoi genitori - per ovvi motivi di rango sociale - avevano proibiti categoricamente sia a lui sia a sua sorella Agathe di scendere nelle cucine, qualsiasi fosse la motivazione.
    L'atrio era deserto, così come le sale da cui si accedeva dalle porte vicine alle scale alla base delle quali si era fermato. Anche dal salotto alla sua sinistra non arrivavano voci, indice che la stanza era vuota.
    Velocemente, il ragazzo si affrettò a percorrere la distanza che lo separava dalla piccola porta da cui si andava nell'area per eccellenza della servitù.
    Mathieu imboccò le strette scale che scendevano sottoterra a passi rapidi e nervosi, appoggiando le mani sulle pareti per cercare di non perdere l'equilibrio. Purtroppo, la sua goffaggine innata ebbe il sopravvento: scivolò nel mettere un piede su una parte di scalino sbeccata e cadde in avanti, rotolando a velocità sostenuta rannicchiato in posizione fetale per tutto il resto delle scale. Temette per un momento di farsi seriamente male senza essersi prima potuto scusare con Jean e si sentì perduto, anche se fu solo una sensazione istantanea.
    La sua corsa si arrestò inaspettatamente con un doloroso schianto sul pavimento freddo e duro della cucina. I suoi occhiali volarono via per il violento contraccolpo, andando a fermarsi qualche metro più in là.
    Un gemito di dolore accompagnò la fine di quel doloroso viaggio.
    Il nobile rimase accasciato al suolo, incapace di raccogliere le forze necessarie a rialzarsi. Il suo corpo era un unico grande centro vivo e pulsante di dolore.
    «Signorino? Signorino!».
    I servi, allarmati dal rimbombo di colpi proveniente dall'andito di accesso, si erano avvicinati al corpo caduto fuori dalle scale e adesso, avendolo riconosciuto, stavano facendo crocchio attorno a lui.
    Le voci che il De Montrès udiva non gli dicevano niente. Non gli risultavano nuove, però non erano quella che voleva sentire.
    «Ehi, permesso! Fatemi passare...!».
    Mathieu riconobbe subito quella giovane voce concitata e sollevò la testa, attirato da essa.
    «André... o Adrien?» sussurrò, cercando invano di alzarsi e voltarsi. Il tono l'aveva riconosciuto per quello di uno dei due gemelli Benôit e si era subito rianimato in quanto i due erano quasi sempre in compagnia del suo servitore personale.
    Il nobile lo cercò con lo sguardo, ma non riusciva a distinguere il profilo del ragazzo senza i suoi occhiali.
    Avvertì una mano posarglisi sulla schiena ed un braccio cingergli le spalle e sperò che fosse lui.
    «Signorino, si è ferito?» chiese la medesima voce di prima.
    «Adrien...?» esordì il De Montres, esitante. Sospettava che fosse lui perché André non gli sarebbe corso incontro domandandogli se si era ferito, ma tirando in ballo tutte le peggiori pratiche sessuali esistenti, persino in un momento come quello.
    «Sì...?» disse il ragazzo in tono premuroso.
    Il nobile si sentiva in pericolo senza i suoi occhiali. Non vedeva niente ad un palmo dal naso ed il mondo per lui si era trasformato in qualcosa di sconosciuto di cui aver paura. Si sentiva perso.
    «Hai visto... i miei occhiali?» domandò.
    Adrien si sorprese: era appena rotolato giù dalle scale, con ogni probabilità si era fatto parecchio male e tutto ciò che riusciva a chiedere era dove fossero i suoi occhiali. Era un tipo strano il signorino.
    Il servo si guardò intorno, poi alzò gli occhi sui colleghi e domandò: «Qualcuno di voi vede gli occhiali del signorino?».
    Tutti iniziarono a guardarsi attorno e scrutare il pavimento in cerca dell'oggetto. Dopo appena pochi momenti si udì una voce trionfante esclamare: «Li ho trovati!».
    Si fece avanti attraverso la folla uno dei cuochi con gli occhiali sorretti per le asticelle tra le mani. Si avvicinò e porse l'oggetto ad Adrien.
    Quest'ultimo lo diede a Mathieu, che si affrettò ad inforcare di nuovo le lenti. Rimettere a fuoco il mondo circostante lo fece sentire improvvisamente al sicuro.
    «Grazie» disse, mettendosi goffamente carponi.
    Adrien lo aiutò a cambiare posizione avvertendo i suoi arti tremare leggermente, temendo che non riuscissero a reggere il suo peso.
    «Adrien... dov'è Jean?» domandò con un fil di voce il nobile, spaventato dalla possibilità che gli altro servi lo udissero.
    Nessun membro della servitù ad eccezione di Adrien e suo fratello era a conoscenza della relazione che aveva con Jean. Il ragazzo, intuendo a priori dove quel discorso sarebbe andato a parare, esclamò rivolto agli altri servi: «Ci penso io ad accompagnare il signorino nelle sue stanze. Voi potete tornare alle vostre occupazioni».
    Tutta la servitù si allontanò senza emettere un solo lamento: Adrien era perfettamente in grado di accompagnare il giovane De Montres ai suoi alloggi, dato che vi si era spesso recato assieme al gemello per servire il nobile. In più, il ragazzo era semplicemente un cameriere, per cui era meglio se lo accompagnava lui il signorino, cosicché tutti i cuochi in servizio potessero dedicarsi in toto alla cena.
    Adrien aiutò Mathieu ad issarsi in piedi, quindi si passò il suo braccio sopra le spalle e ed iniziò a sospingerlo su per lo stretto cunicolo delle scale.
    Il musicista constatò con immenso sollievo che non aveva niente di rotto: la caviglia sinistra, anche se gli doleva, riusciva a reggere il suo peso; la schiena ed il collo rispondevano con fitte acute ad ogni suo tentativo di raddrizzarli.
    Se fosse stato discretamente attento in presenza dei suoi genitori, non si sarebbero accorti del suo piccolo incidente.
    «Dov'è Jean...?» chiese a mezza voce.
    «Nella sua camera. C'è André con lui» rispose Adrien con un volume di voce molto simile a quello usato dal nobile. Del resto, neppure lui voleva che la proibita relazione tra signore e servo venisse scoperta: voleva bene a Jean e al signorino e non voleva che venissero puniti per un sentimento bello come l'amore.
    «Oh...» mormorò il musicista semplicemente, abbassando affranto lo sguardo: probabilmente il Benôit stava cercando di consolarlo.
    «Signorino, ma ha davvero baciato monsieur Duprèe?» volle sapere il giovanotto, curioso.
    Mathieu sospirò, portandosi una mano al viso in atto di disperazione.
    «Non ho cominciato io» iniziò, anche se non era del tutto convinto che il suo interlocutore gli credesse - del resto, se aveva visto in che condizioni era Jean non poteva che essere dalla sua parte. Comunque, il nobile era intenzionato a spiegare come erano andate le cose. Sentiva di doverlo raccontare a qualcuno, altrimenti sarebbe esploso.
    «È stato lui. Mi ha detto che... sapeva di me e Jean e che avrei fatto meglio a lasciarlo perdere. Lui mi avrebbe trattato meglio...» continuò.
    «E voi gli avete dato ascolto?» lo incalzò Adrien incredulo, pendendo letteralmente da ogni sillaba che pronunciava.
    «No, ovviamente!».
    Mathieu parve offeso dal fatto che avesse dubitato di lui anche soltanto per un momento.
    «Però non mi ha ascoltato e mi ha strappato quel bacio a tradimento».
    Il nobile arrossì per la vergogna, ma per fortuna la scarsa illuminazione dell'andito non permise al suo accompagnatore di notarlo. Scosse la testa.
    «Confesso che per un attimo mi è piaciuto... ma se avessi saputo che Jean sarebbe entrato dopo poco l'avrei respinto e cacciato prima, davvero...» soggiunse.
    «Io... amo Jean» s'interruppe un momento, vinto dall'imbarazzo dell'affermazione «E-e adesso sento... di averlo perso...».
    «Voglio parlargli, ma sono certo che non vorrà ascoltarmi» disse.
    «Su questo ha ragione» intervenne finalmente Adrien, interrompendo quella sentita narrazione «Jean è veramente distrutto e sta cercando di affogare tutto in bicchieri e bicchieri della birra che i signori ci riservano. Quando sono uscito per recarmi in cucina era ubriaco fradicio e non ragionava più. André è rimasto per assicurarsi che non facesse qualcosa di stupido» spiegò.
    «Sono stato un idiota» borbottò Mathieu risentito, mentre uscivano finalmente nella luce dell'atrio.
    I due si fermarono qualche momento per abituarsi alla luminosità dell'ambiente ed il De Montres insistette per proseguire senza sostegno.
    Il servo lo esaudì e ripresero a camminare.
    «Sì, lo penso anch'io» concordò tranquillamente quest'ultimo, senza temere la minima ritorsione da parte del padroncino «Però io vi credo e voglio aiutarvi a riappacificarvi con Jean» aggiunse, sorridendo in modo fanciullesco al nobile.
    Quest'ultimo sorrise a propria volta, ma in un modo che esprimeva solo compassione verso se stesso.
    «Grazie mille, Adrien» disse, scompigliandogli i capelli in un gesto affettuoso, salendo lentamente verso i piani superiori «Spero anch'io di riuscire a riappacificarmi con lui... presto».
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